«Ho denunciato mio figlio, ma sono stato lasciato solo». Con queste parole, un padre bergamasco racconta la vicenda che ha visto protagonista il proprio figlio 14enne, fermato con un coltello davanti alla scuola Camozzi di Bergamo, dopo aver annunciato una “rappresaglia” contro un coetaneo. Un episodio che ha scioccato l’opinione pubblica, ma che secondo il genitore è solo la punta dell’iceberg di un disagio profondo e di un sistema istituzionale incapace di prevenire.
Il padre ha deciso di raccontare la propria storia per lanciare un grido d’allarme. Dopo mesi di richieste di aiuto rivolte a servizi sociali, neuropsichiatri e forze dell’ordine, nulla è cambiato. “Mi sono sentito abbandonato – denuncia al Corriere Bergamo –. Le istituzioni parlano, ma arrivano tardi, quando ormai è troppo tardi”.
Il disagio del figlio, secondo quanto raccontato dal genitore, ha radici profonde, legate a un difficile contesto familiare e a frequentazioni pericolose. Dopo un primo episodio nel 2023, quando il ragazzo fu adescato da spacciatori all’uscita da scuola e finì al pronto soccorso, il padre aveva deciso di trasferirlo a Bergamo, sperando in un contesto più sicuro. Ma in pochi mesi il ragazzo è precipitato in una spirale di microcriminalità, abuso di sostanze e chiusura emotiva, culminata nella tentata aggressione davanti alla scuola.
“L’ho denunciato io stesso, dopo aver trovato nel suo cellulare prove di contatti con adulti coinvolti nel traffico di hashish e sigarette elettroniche”, racconta. “Ho letto le sue chat, ho scoperto che veniva usato. Era chiaro che stava scivolando via, eppure nessuno è intervenuto davvero”.
La denuncia, però, non ha prodotto risultati immediati. Solo dopo l’episodio alla Camozzi è scattata la perquisizione domiciliare. “Troppe volte mi sono sentito dire che ‘fino ai 14 anni non si può fare nulla’”, aggiunge. “Eppure è proprio in quest’età che servirebbe intervenire. Quando arrivano le misure, spesso è troppo tardi. I ragazzi cambiano in fretta, e il tempo perso non si recupera”.
Il padre non nega le proprie responsabilità, ma respinge ogni giudizio sommario: “Non siamo una famiglia disagiata, abbiamo lottato con ogni mezzo: colloqui, letture, presenza costante. Abbiamo dato tutto. Ma oggi nessuno è davvero al sicuro. Questo è un cambiamento sociale che riguarda tutti”.
Il problema, sostiene, non è solo del singolo, ma del sistema. “Parliamo di prevenzione, ma manca una strategia coordinata. Manca sinergia, manca tempestività. I servizi arrivano in ritardo, mentre i ragazzi si perdono”.
Il ragazzo, oggi, rischia il collocamento in una comunità terapeutica. “E lì – conclude il padre – resta solo da sperare che non si senta ancora più abbandonato”.