Mentre la stagione invernale in montagna volge al termine, si apre uno spiraglio per riflettere sull’andamento delle precipitazioni nevose degli ultimi mesi, in particolare in quota, dove i dati raccolti parlano chiaro. Al lago Fregabolgia, a 1.955 metri sul livello del mare, si sono registrati 171 centimetri di neve il 25 marzo, con rilevazioni simili in altre località: 162 centimetri in zona Polzone (Vilminore) a 1.856 metri e 119 centimetri al lago del Barbellino (Valbondione) a 1.784 metri. Questi numeri arrivano dopo una lunga attesa, seguita a mesi di condizioni siccitose e concentrati in un breve lasso di tempo, grazie a un insieme di precipitazioni abbondanti.
Un passato in bianco
Guardando indietro, al decennio precedente, emerge una prospettiva diversa. La stagione invernale del 2013/2014, per esempio, si distingue per una copiosità di neve ben più significativa, specialmente sulle Alpi centrali e orientali. Nei mesi di gennaio e febbraio di quell’anno, la Lombardia vide un’attività nevosa senza precedenti, con accumuli che, a circa 2.000 metri di quota, variavano tra i 7 e i 13 metri. L’attività valanghiva di quel periodo fu intensa, con bollettini che segnalavano pericoli valanghe di grado 4 e 5 su una scala da 1 a 5. Eventi che portarono alla chiusura temporanea di strade provinciali nelle valli di Brembana, Seriana, e di Scalve, oltre a richiedere sorvoli di ricognizione per monitorare la situazione.
Fenomeni eccezionali
Oltre ai dati lombardi, altri territori italiani come il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino registrarono precipitazioni eccezionali. A Sella Nevea, per esempio, il Rifugio Gilberti a 1.830 metri raccolse 890 centimetri di neve fresca solo tra gennaio e marzo, arrivando a superare i 15 metri e mezzo nel totale stagionale. In Trentino, le rilevazioni tra i 2.500 e i 3.000 metri di quota segnarono accumuli tra i 17 e i 19 metri di neve, con quantità tra i 7,5 e gli 11,5 metri a quote leggermente inferiori.
Il ruolo della sabbia del deserto
Un aspetto interessante da sottolineare è l’influenza della sabbia del deserto sui manti nevosi. Nel 2014, la presenza di questa sabbia, depositatasi dopo il 19 febbraio, ridusse la capacità riflettente della neve, contribuendo all’aumento dell’energia solare assorbita e, di conseguenza, al distacco di numerose valanghe su strati considerati potenzialmente fragili.
Il senso della Bergamasca per la neve
Il confronto tra l’attuale stagione invernale e quella di un decennio fa mette in luce non solo le variazioni climatiche e le loro manifestazioni locali, ma anche l’importanza di mantenere una memoria storica del clima per comprendere meglio i cambiamenti in atto. Se da un lato gli accumuli recenti non raggiungono gli estremi passati, dall’altro offrono uno spunto per apprezzare la dinamicità e la variabilità del clima montano. Le statistiche e i ricordi delle stagioni passate rimangono quindi essenziali per navigare nel presente e anticipare il futuro dei nostri paesaggi invernali.