Sharon Verzeni, trovata senza vita a Terno d’Isola, conosceva il suo assassino. Questa è la conclusione a cui giunge la criminologa Roberta Bruzzone, che respinge l’idea di un’aggressione improvvisa e sostiene che l’omicidio sia stato il risultato di un incontro pianificato. Secondo la Bruzzone, raggiunta dall’ADN Kronos, l’analisi della dinamica del delitto e dei dati emersi dal contapassi della vittima indicano chiaramente che Sharon abbia avuto un’interazione significativa con il suo carnefice prima di essere uccisa.
Un dettaglio cruciale a sostegno di questa teoria è la distanza percorsa dalla vittima. Sharon ha camminato 630 metri in circa 50 minuti, un tempo che suggerisce una conversazione o un’interazione con qualcuno, piuttosto che un’aggressione improvvisa. La Bruzzone sottolinea come una persona abituata a camminare avrebbe coperto quella distanza in pochi minuti, evidenziando così la stranezza del lasso di tempo impiegato dalla ragazza.
Questo dato, unito alla traccia genetica rinvenuta sulla scena del crimine, rafforza l’idea che Sharon conoscesse il suo assassino. Le indagini si concentrano ora su test del DNA mirati, limitati ai residenti della via dove è stata ritrovata la giovane. La criminologa approva questa scelta investigativa, definendola strategicamente sensata, poiché consente di restringere il cerchio dei sospetti senza necessità di test su vasta scala.
La presenza di una profilazione preliminare del possibile assassino sembra orientare le indagini verso specifici individui, escludendo l’ipotesi di un aggressore sconosciuto o occasionale. Sharon, secondo Bruzzone, non è stata vittima di un attacco estemporaneo, ma di un incontro che si è trasformato in tragedia.