Confermata la condanna a 14 anni per Belotti dopo l’omicidio al semaforo

La Corte d'Appello ha confermato la condanna a 14 anni per Vittorio Belotti, accusato della morte di Walter Monguzzi a seguito di una lite stradale

Vittorio Belotti è stato condannato a 14 anni di reclusione per l’omicidio di Walter Monguzzi, avvenuto il 30 ottobre 2022 a Montello, dopo una lite stradale. La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado, respingendo le richieste della difesa che aveva tentato di riqualificare il reato in omicidio preterintenzionale e di far cadere l’aggravante dei futili motivi. Secondo i giudici, sussisteva sia il dolo eventuale che l’aggravante, data la natura banale del diverbio che ha portato alla tragedia.

L’episodio è avvenuto in via Papa Giovanni XXIII, quando Monguzzi e Belotti si sono incrociati al semaforo. La lite è scoppiata dopo che Monguzzi, in sella alla sua moto, si era avvicinato troppo alla Panda guidata da Belotti per evitare un’altra auto. Ne è nata una discussione accesa tra i due, che è continuata anche quando il semaforo è diventato verde.

Le telecamere di sorveglianza del Comune di Montello hanno ripreso i momenti cruciali: Belotti ha sterzato più volte verso Monguzzi, tentando di allontanarlo. Monguzzi ha risposto alzando la gamba, secondo l’accusa per difendersi, mentre la difesa sostiene che il gesto fosse volto a colpire l’auto. L’ultima sterzata è stata fatale: il motociclista ha perso l’equilibrio, cadendo sulla carreggiata opposta, dove è stato travolto da una BMW. La sua moto, intanto, è finita fuori strada.

Belotti si è dato alla fuga subito dopo l’incidente, ma è stato arrestato in seguito. La Corte ha ritenuto che la sua azione, aggravata dai futili motivi, configurasse un omicidio volontario con dolo eventuale, poiché l’imputato era consapevole del rischio letale delle sue azioni.

L’avvocato Federico Pedersoli, che rappresenta la figlia della vittima, Martina Monguzzi, ha commentato la sentenza affermando che, pur non potendo riportare indietro suo padre, la conferma della condanna riconosce la giustizia dovuta. La famiglia ha sempre sostenuto la gravità dell’atto, descrivendolo come un omicidio causato da motivi futili e ingiustificabili.

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