Nel processo per la presunta falsificazione di documenti medici legati a Davide Astori, le difese respingono le accuse e chiedono l’assoluzione. Al centro del dibattimento, che si svolge a Firenze, c’è un certificato relativo a un esame cardiologico datato luglio 2017, finito sotto la lente della Procura dopo la morte del capitano della Fiorentina, originario di San Pellegrino, trovato privo di vita il 4 marzo 2018 in una camera d’albergo a Udine.
Tra gli imputati c’è Giorgio Galanti, ex direttore di medicina sportiva dell’ospedale Careggi, già condannato per omicidio colposo a un anno con pena sospesa. Oggi, insieme a lui, sono imputati la dottoressa Loria Toncelli, accusata di falso, e Pietro Amedeo Modesti, chiamato a rispondere di distruzione di atti. L’accusa sostiene che l’esame chiamato strain, che misura la contrattilità del miocardio, sia stato retrodatato o realizzato solo successivamente al decesso del calciatore, con l’obiettivo di completare a posteriori la sua documentazione medica.
«Non ci fu alcun intento doloso o accordo tra Galanti e la dottoressa Toncelli», ha dichiarato l’avvocato Sigfrido Fenyes, difensore di Galanti, nel corso della sua arringa. Secondo la difesa, la stampa del documento risalente al 10 luglio 2017 sarebbe avvenuta solo nell’aprile 2019, su carta intestata di quel giorno, a seguito della richiesta – ormai da pensionato – dello stesso Galanti di consultare la cartella clinica di Astori. «Si è trattato di un semplice equivoco», ha aggiunto, escludendo la possibilità di un falso intenzionale.
L’origine dell’inchiesta risale proprio al 2019, quando venne depositata nuova documentazione difensiva nell’ambito del primo procedimento penale per omicidio colposo. La Procura contesta che il documento sia stato stampato retroattivamente in una data «prossima al 10 aprile 2019», tentando così di simulare un esame svolto in precedenza.
L’avvocato Vincenzi De Franco, legale della dottoressa Toncelli, ha ribadito in aula che la sua assistita non ha mai dichiarato di aver effettuato l’esame o redatto il relativo referto. A suo avviso, lo strain non rappresenta un certificato medico, ma piuttosto una metodica di valutazione cardiologica con scopo scientifico, e non obbligatoria secondo le linee guida vigenti. «È uno strumento di ricerca per analizzare la funzione contrattile del cuore, non un documento clinico soggetto a certificazione», ha spiegato.
Anche per Pietro Amedeo Modesti, accusato di distruzione di atti, la difesa ha sostenuto l’assenza di dolo, minimizzando la portata degli episodi contestati. La sentenza è attesa per il prossimo 13 giugno, quando il tribunale di Firenze deciderà se accogliere la tesi dell’equivoco tecnico oppure procedere con una condanna per falso documentale.
Il caso continua a suscitare emozione e attenzione pubblica, trattandosi di una vicenda legata alla morte improvvisa di un atleta simbolo, e coinvolgendo aspetti delicati come la certificazione di idoneità sportiva e i protocolli sanitari applicati.