Natalità in calo del 34% dal 2004 e mamme sempre più tardi: oggi a 32 anni

Secondo l’Istat, nel 2024 in Bergamasca solo 7.337 nascite: si conferma il crollo demografico e cresce l’età media al primo parto. I sindacati chiedono politiche strutturali

L’inverno demografico si fa sempre più rigido e non accenna a finire. L’ultimo report diffuso da Istat il 31 marzofotografa con chiarezza una tendenza ormai strutturale: in provincia di Bergamo le nascite sono crollate del 33,8% in vent’anni, passando dalle 11.077 del 2004 alle 7.337 del 2024. Una perdita di oltre un terzo dei nuovi nati che evidenzia l’allarme ormai cronico sulla natalità.

Il dato 2024 segna un lieve calo rispetto all’anno precedente, con appena 20 bambini in meno rispetto ai 7.357 del 2023 (-0,3%). Ma se l’arretramento anno su anno è quasi impercettibile, il quadro complessivo degli ultimi due decenni evidenzia un vero tracollo. Il saldo naturale continua a essere negativo e, seppur contenuto nel breve periodo, il trend si mostra consolidato e preoccupante.

Uno degli indicatori più significativi del fenomeno riguarda l’età media al parto, che si è innalzata progressivamente. Nel 2024 le donne bergamasche hanno avuto figli a una media di 32,6 anni, in aumento rispetto ai 32,4 dell’anno precedente. Nel 2004, invece, l’età media era di 30,6 anni: un salto di due anni in due decenni, che conferma un progressivo rinvio della maternità, spesso legato a incertezze lavorative, mancanza di servizi e mutamenti culturali.

«Non basta più parlare di bonus» – osservano i sindacati – «serve un cambiamento strutturale». Secondo Cgil, Cisl e Uil, per contrastare davvero il declino demografico non bastano incentivi economici temporanei, ma occorrono politiche di lungo termine, un welfare rinnovato e un cambio di mentalità sociale. Servizi per l’infanzia più accessibili, maggiore conciliazione tra tempi di vita e lavoro, sostegno alla genitorialità e una cultura che non penalizzi le donne nel mercato occupazionale sono gli strumenti indicati come prioritari.

La questione demografica è anche una questione economica e sociale, con ricadute evidenti su sistema scolastico, sanità, previdenza e sviluppo del territorio. Una popolazione che invecchia e si riduce numericamente rischia di compromettere l’equilibrio tra generazioni, il ricambio nei luoghi di lavoro e la sostenibilità dei servizi pubblici.

Il ritardo nella nascita del primo figlio, sempre più diffuso, contribuisce inoltre a una riduzione del numero medio di figli per donna. L’invecchiamento del momento riproduttivo implica spesso minore tempo disponibile per avere più figli, ma anche maggiori complicazioni e costi, sia sanitari che personali. Il rischio è quello di alimentare un circolo vizioso difficile da invertire.

Non mancano però segnali di attenzione da parte delle istituzioni, anche se giudicati ancora insufficienti. Il dibattito sul “piano per la natalità” e l’eventuale introduzione di misure strutturate a livello nazionale si è riacceso negli ultimi mesi, ma l’attuazione concreta richiederà tempo e volontà politica. Intanto, il territorio bergamasco si trova a fronteggiare un cambiamento demografico che richiede interventi urgenti e coordinati tra enti locali, mondo produttivo e comunità.

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