Carceri, il Governo lancia il piano «sfolla celle»: a Bergamo restano i problemi

Detenzione domiciliare per tossicodipendenti e nuove strutture: misure utili ma insufficienti. Via Gleno fuori dal piano edilizio, persistono sovraffollamento e carenze nei servizi.

Il nuovo pacchetto del Governo per fronteggiare il sovraffollamento carcerario è stato varato dal Consiglio dei ministri martedì 22 luglio. Si punta su detenzione domiciliare per tossicodipendenti e alcoldipendenti, su una liberazione anticipata più rapida e su interventi di edilizia penitenziaria per aumentare i posti letto. Ma per la casa circondariale di Bergamo, la misura rischia di avere un impatto minimo, come sottolineano operatori del settore, volontari e rappresentanti istituzionali.

Il carcere di via Gleno è da tempo in condizioni critiche, con 586 detenuti per una capienza regolamentare di 319, pari a un tasso di affollamento del 183,4%. Il decreto ricalca provvedimenti già annunciati lo scorso anno, ma non interviene su aspetti fondamentali, come sottolinea don Luciano Tengattini, cappellano del carcere: «Il disagio psichico è un problema gravissimo e non affrontato. Servirebbero misure concrete anche per chi ha scontato gran parte della pena. Nella prassi, temo cambierà poco».

Il disegno di legge prevede un nuovo regime di detenzione domiciliare per persone con dipendenze, anche con pene residue fino a 8 anni, purché inserite in programmi terapeutici presso strutture residenziali autorizzate. Una proposta coerente con le istanze degli addetti ai lavori, ma che si scontra con la realtà: i posti in comunità sono pochi.

Fabio Loda, coordinatore di Federsolidarietà Bergamo, conferma a L’Eco di Bergamo: «Pensare che tutti i detenuti con dipendenze possano essere accolti in comunità è illusorio. I posti sono limitati e l’accreditamento non permette ampliamenti facili».

A Bergamo si stima che circa 400 reclusi abbiano problemi di tossicodipendenza o alcolismo, spesso associati a forme di disagio psichico. Tuttavia, né il decreto né il piano edilizio sembrano offrire risposte concrete alla situazione locale. Nel Piano nazionale per l’edilizia penitenziaria 2025-2027, il carcere di via Gleno non compare tra le strutture destinatarie di investimenti. A beneficiarne saranno invece altri istituti lombardi, tra cui Bollate, Opera, San Vittore, Vigevano e Brescia Verziano, con nuovi padiglioni e ampliamenti.

Un effetto positivo per Bergamo potrebbe arrivare solo indirettamente, come spiega Fausto Gritti, presidente dell’associazione Carcere e Territorio: «Se altri istituti lombardi aumenteranno i posti, potremmo vedere un lieve alleggerimento a Bergamo. Ma senza personale e risorse, nuove strutture non bastano».

Anche Valentina Lanfranchi, garante dei detenuti a Bergamo, esprime scetticismo: «Le misure ricordano quelle del 2024, ma poco è cambiato. Resta il problema degli organici, soprattutto nei Tribunali di sorveglianza. Una giustizia lenta non è giustizia».

Sul fronte giuridico, l’avvocato Enrico Pelillo, presidente della Camera penale di Bergamo, condivide le perplessità: «I principi sono corretti: chi ha dipendenze non dovrebbe stare in carcere. Ma mancano strutture e fondi. I numeri sui suicidi in carcere sono allarmanti: oltre 40 da inizio anno».

Il piano del Governo prevede anche una ricognizione per favorire le misure alternative ai detenuti con pene residue inferiori ai due anni. Una proposta che raccoglie consenso, ma che rischia di restare inapplicabile se non accompagnata da politiche su alloggio, lavoro e inclusione sociale. «Senza un progetto concreto di reinserimento – conclude Gritti – la maggior parte dei detenuti esclusi dal carcere resterà comunque ai margini della società».

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