Condannato a 21 anni l’uomo accusato di abusi su due bambini

Le motivazioni della sentenza sottolineano la credibilità delle vittime e la solidità del quadro probatorio. Nessun dubbio sulla responsabilità dell’imputato

Una narrazione coerente, dettagliata e priva di intenti calunniosi: è quanto ha portato la Corte d’Assise a condannare a 21 anni e 4 mesi di reclusione un uomo di 67 anni, riconosciuto colpevole di aver abusato sessualmente di due bambini, a distanza di otto anni l’uno dall’altro. I fatti, gravissimi, sono stati commessi all’interno di un contesto familiare e di fiducia: l’imputato è il marito della baby sitter dei due piccoli.

I giudici hanno ritenuto entrambe le testimonianze delle vittime pienamente attendibili, come si legge nelle motivazioni della sentenza, recentemente depositate. Il primo caso riguarda un bambino che all’epoca degli abusi aveva sei o sette anni e che oggi è diventato maggiorenne. La sua testimonianza, scrive la presidente del collegio Patrizia Ingrascì, è stata «chirurgica» nel descrivere gli abusi, lontana da ogni forma di affabulazione, «senza enfasi o drammatizzazioni». Il giovane ha dimostrato di distinguere chiaramente tra ricordi reali e suggestioni, fornendo un racconto dettagliato che, secondo i giudici, è sintomatico di un vissuto reale.

Un’accusa priva di motivi strumentali
Particolarmente rilevante per la Corte è stata la distanza temporale tra i fatti e la denuncia: l’imputato non veniva più visto dalla vittima da circa dieci anni, una circostanza che esclude ogni movente vendicativo o manipolatorio. «Il ragazzo non avrebbe avuto alcuna ragione per accusare falsamente a scoppio ritardato un uomo che non era più parte della sua vita», si legge nelle motivazioni. L’imputato, dal canto suo, ha tentato di sminuire la vicenda, sostenendo che il minore avrebbe frainteso un gesto innocuo: un presunto sollevamento da sotto le ascelle. Ma la Corte ha definito questa ricostruzione «inconsistente» e priva di riscontri.

Anche la seconda vittima ritenuta pienamente credibile
Nel secondo episodio, l’abuso ha coinvolto una bambina. Anche in questo caso, le dichiarazioni rese dalla minore in aula sono state ritenute credibili e coerenti, nonostante la giovane età e la delicatezza dell’argomento. Nessun elemento, sottolineano i giudici, suggerisce che la bimba nutrisse astio o motivazioni personali per accusare l’imputato, che è stato condannato a 12 anni e 4 mesi per questa seconda vicenda.

Un quadro probatorio ritenuto «solido e inequivocabile»
La Corte ha parlato di un impianto accusatorio cesellato con cura, in cui le dichiarazioni delle vittime sono state confermate da altri elementi raccolti durante l’istruttoria. Di fronte a tale mole di prove, la difesa dell’imputato è risultata debole e incapace di scalfire l’attendibilità dei racconti. L’addebito, scrive la Corte, «è pienamente dimostrato per la solidità delle prove a carico e l’inconsistenza di quelle a discarico».

Una sentenza che chiude un caso doloroso
Con questa condanna, il tribunale ha voluto sottolineare l’importanza dell’ascolto protetto e della tutela delle vittime minorenni nei casi di abuso, ribadendo quanto sia fondamentale accertare i fatti con rigore, anche a distanza di anni. L’uomo, che ha sempre respinto le accuse, dovrà ora scontare una delle pene più severe comminate per reati simili negli ultimi anni nel territorio.

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