Bergamo si conferma una provincia virtuosa nel panorama sanitario lombardo, almeno per quanto riguarda l’attuazione del progetto delle Case di comunità, pilastro del Pnrr e della riforma della sanità territoriale. Secondo i dati aggiornati al 19 giugno dal monitoraggio della Regione Lombardia, 18 delle 20 Case della comunità previste sul territorio orobico sono già operative, pari al 90% di attuazione, il dato migliore a livello regionale.
Un risultato che, come sottolinea L’Eco di Bergamo, colloca Bergamo in testa alle classifiche lombarde, seguita da Ats Valpadana (85%) e Ats Brianza (80%), mentre altre realtà come Brescia restano molto indietro (43%). Il dato assume ulteriore rilievo se si considera che 6 delle 10 Case di comunità lombarde già pienamente conformi agli standard ministeriali si trovano in terra bergamasca: si tratta delle sedi di Dalmine, Treviglio, Borgo Palazzo, Zogno, Villa d’Almè e Sant’Omobono.
Queste strutture offrono già il 100% dei 13 servizi richiesti dal decreto ministeriale 77 del 2022, tra cui: punto unico di accesso (Pua), assistenza infermieristica, servizi sociali, assistenza domiciliare integrata, ambulatori specialistici, punti prelievo, Cup, équipe multiprofessionali, diagnostica di base, continuità assistenziale, presenza di associazioni e supporto per patologie croniche.
A livello regionale, tuttavia, il quadro resta incompleto e disomogeneo. Su 135 Case già operative, solo il 22,2% garantisce una presenza medica completa sette giorni su sette, mentre solo il 12,6% dispone di personale infermieristico per almeno 12 ore al giorno. Questo evidenzia come il principale ostacolo alla piena efficienza non sia l’infrastruttura, bensì la carenza di personale sanitario.
Il documento regionale conferma che molti servizi sono stati attivati in itinere, anche in strutture non ancora completamente ristrutturate. Una strategia necessaria per non rallentare l’accesso ai servizi, ma che rischia di scontrarsi con il limite strutturale della carenza di medici e infermieri, soprattutto per garantire un’assistenza continuativa e capillare, come previsto dalla riforma.
Bergamo, pur mostrando performance superiori alla media, non è esente da questa problematica, che rischia di compromettere nel medio termine la sostenibilità del modello. Se da un lato il territorio ha saputo accelerare sull’apertura e sull’attivazione dei servizi, dall’altro resta urgente affrontare la questione del “capitale umano”, su cui si gioca l’effettiva riuscita della riforma.
L’obiettivo del Pnrr e del decreto 77 resta quello di riportare l’assistenza più vicina ai cittadini, alleggerendo il carico degli ospedali e puntando sulla prevenzione e la gestione integrata delle patologie croniche. Ma senza un rafforzamento strutturale dell’organico sanitario, soprattutto nelle aree periferiche, il rischio è che le Case di comunità restino contenitori incompleti, privi della continuità assistenziale promessa.